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 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke La conoscevo già, comunque... 
 @33b55b95 Grazie 🙂 
 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke 

Grazie, bellissima storia... 
 @bab8c9a5 molto gentile, se ti interessa ne trovi altre sul mio profilo 🙂 
 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke 

Bel thread, da leggere tu... 
 @975ab9ab grazie 😊 
 Per chi vuole, appuntamento sabato 14 ottobre a Padova, in occasione del #CICAPFest. Insieme a Emanuele Menietti parleremo di avventure spaziali straordinarie ma poco conosciute.

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 Finalmente il pannello si sblocca con uno scatto violento e scaraventa Conrad e Kerwin lontano dalla stazione: soltanto i loro cavi di sicurezza permettono loro di non perdersi nello spazio.

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 Ce l’hanno fatta. Il pannello solare è in posizione nominale. Skylab è operativa. Diversi astronauti la useranno per quasi sei mesi, portando a termine centinaia di esperimenti, poi resterà a lungo disabitata. Durante il suo rientro, l’11 luglio 1979,  ci sarà un altro grosso imprevisto. Ma questa è un’altra storia.

(fine)

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 Ora bisogna liberare il pannello incastrato. Sulla Terra, nella piscina del Marshall Space Center, Russell Schweickart e Edward Gibson collaudano le manovre necessarie e il 7 giugno Conrad e Kerwin tentano di metterle in pratica con un’altra attività extraveicolare. Cercare di fare forza in assenza di peso è problematico: i due faticano per più di tre ore senza successo, anche perché la cerniera del pannello solare si è congelata. C’è da perdere le speranze.

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 Finalmente il pannello si sblocca con uno scatto violento e scaraventa Conrad e Kerwin lontano dalla stazione: soltanto i loro cavi di sicurezza permettono loro di non perdersi nello spazio.

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 L’equipaggio si trasferisce nella Skylab, dove le temperature sono infernali, e installa il parasole sull’esterno della stazione, facendolo passare attraverso un piccolo portellone per gli strumenti scientifici. Le temperature dentro la stazione scendono immediatamente e rimangono un po’ più alte del normale ma accettabili. 
 Ora bisogna liberare il pannello incastrato. Sulla Terra, nella piscina del Marshall Space Center, Russell Schweickart e Edward Gibson collaudano le manovre necessarie e il 7 giugno Conrad e Kerwin tentano di metterle in pratica con un’altra attività extraveicolare. Cercare di fare forza in assenza di peso è problematico: i due faticano per più di tre ore senza successo, anche perché la cerniera del pannello solare si è congelata. C’è da perdere le speranze.

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 L’attracco inizialmente non riesce per un malfunzionamento del modulo Apollo. Dopo 8 tentativi falliti i tre si mettono delle tute e provano a sbloccare a mano il meccanismo di attracco. Il tentativo funziona e il modulo Apollo si collega alla Skylab.

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 L’equipaggio si trasferisce nella Skylab, dove le temperature sono infernali, e installa il parasole sull’esterno della stazione, facendolo passare attraverso un piccolo portellone per gli strumenti scientifici. Le temperature dentro la stazione scendono immediatamente e rimangono un po’ più alte del normale ma accettabili. 
 Nel primo tentativo di riparazione il comandante Conrad tiene l'Apollo CSM vicino allo Skylab, Paul Weitz esce dal portellone e, mentre Joe Kerwin lo tiene per le gambe, cerca con un palo uncinato di togliere i detriti che tengono chiuso il pannello solare. Tutto mentre orbitano a 400 km dalla Terra a 28.000 chilometri all’ora.

Questa spericolata operazione da stuntman non funziona e i tre decidono di attraccare alla Skylab e occuparsi prima del parasole.

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 L’attracco inizialmente non riesce per un malfunzionamento del modulo Apollo. Dopo 8 tentativi falliti i tre si mettono delle tute e provano a sbloccare a mano il meccanismo di attracco. Il tentativo funziona e il modulo Apollo si collega alla Skylab.

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 Arrivati alla Skylab, Conrad e compagni esaminano i danni: la parete esterna della stazione non era progettata per essere esposta al Sole e ha cominciato ad annerirsi per il calore, oltre a mostrare i segni dell’impatto con i micrometeoriti, ma per il resto è integra. Se i tre riescono a sbloccare il pannello incastrato la stazione potrebbe ancora funzionare, anche se a potenza dimezzata.

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 Nel primo tentativo di riparazione il comandante Conrad tiene l'Apollo CSM vicino allo Skylab, Paul Weitz esce dal portellone e, mentre Joe Kerwin lo tiene per le gambe, cerca con un palo uncinato di togliere i detriti che tengono chiuso il pannello solare. Tutto mentre orbitano a 400 km dalla Terra a 28.000 chilometri all’ora.

Questa spericolata operazione da stuntman non funziona e i tre decidono di attraccare alla Skylab e occuparsi prima del parasole.

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 Nei pochi giorni trascorsi dall’incidente gli ingegneri della NASA hanno congegnato un piano per tentare di salvare la Skylab: i tre astronauti proveranno a sbloccare il pannello solare rimasto incastrato e a installare un “parasole”.

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 Arrivati alla Skylab, Conrad e compagni esaminano i danni: la parete esterna della stazione non era progettata per essere esposta al Sole e ha cominciato ad annerirsi per il calore, oltre a mostrare i segni dell’impatto con i micrometeoriti, ma per il resto è integra. Se i tre riescono a sbloccare il pannello incastrato la stazione potrebbe ancora funzionare, anche se a potenza dimezzata.

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 Skylab è rimasta senza potenza elettrica, senza protezione dai detriti spaziali e, dato che lo schermo strappato aveva anche funzione isolante, senza protezione termica. Si surriscalda al punto che l’ambiente interno comincia a rilasciare sostanze tossiche e il cibo immagazzinato è a rischio. 
 Nei pochi giorni trascorsi dall’incidente gli ingegneri della NASA hanno congegnato un piano per tentare di salvare la Skylab: i tre astronauti proveranno a sbloccare il pannello solare rimasto incastrato e a installare un “parasole”.

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 L’11 maggio è stata messa in orbita senza astronauti Skylab, la prima stazione spaziale americana. La stazione è entrata regolarmente in orbita, ma durante l’ascesa si è infilata dell’aria ad altissima velocità sotto lo schermo di protezione contro i micrometoriti e lo ha strappato dal modulo. In seguito a questo incidente uno dei due pannelli solari si è staccato a sua volta e l’altro si è incastrato nei detriti e non si è aperto.

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 Skylab è rimasta senza potenza elettrica, senza protezione dai detriti spaziali e, dato che lo schermo strappato aveva anche funzione isolante, senza protezione termica. Si surriscalda al punto che l’ambiente interno comincia a rilasciare sostanze tossiche e il cibo immagazzinato è a rischio. 
 Il 25 maggio 1973 un modulo Apollo parte da Cape Canaveral. Trasporta gli astronauti Pete Conrad, Joseph P. Kerwin e Paul J. Weitz. Ma non è diretto sulla Luna. L’incarico dell’equipaggio è senza precedenti: riparare una stazione spaziale. Che cosa è successo?

(continua)

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 L’11 maggio è stata messa in orbita senza astronauti Skylab, la prima stazione spaziale americana. La stazione è entrata regolarmente in orbita, ma durante l’ascesa si è infilata dell’aria ad altissima velocità sotto lo schermo di protezione contro i micrometoriti e lo ha strappato dal modulo. In seguito a questo incidente uno dei due pannelli solari si è staccato a sua volta e l’altro si è incastrato nei detriti e non si è aperto.

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 Ma siccome sono una donna, non posso diventare professore. Il mio unico titolo è “assistente tecnico” di Shapley. Di essere ammessa all’Accademia Nazionale delle Scienze non se ne parla nemmeno. Solo nel 1956 sono la prima donna a diventare professore ordinario e direttore di dipartimento ad Harvard. La scienziata Joan Feynman, sorella del premio Nobel Richard, si convincerà di poter perseguire una carriera in astrofisica dopo aver conosciuto il mio lavoro.

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 La vita sa essere ironica. Nel 1976 mi viene assegnato il prestigioso premio Henry Norris Russell, intitolato a colui che all’inizio non credette alla mia scoperta più importante. Mi dispiace di essere stata ostacolata e non aver ricevuto tutti i riconoscimenti che avrei meritato? Certamente sì. Ma io ho provato il brivido di essere la prima persona al mondo a capire qualcosa di nuovo e questo nessuno me lo potrà mai togliere.

(fine)

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 Dopo il dottorato studio le stelle ad alta luminosità e le stelle variabili insieme a mio marito, il russo Sergej Gaposchkin. Faccio ricerca, insegno, pubblico libri, tengo conferenze e consiglio gli studenti. Il mio lavoro è la base per studi condotti in tutto il mondo.

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 Ma siccome sono una donna, non posso diventare professore. Il mio unico titolo è “assistente tecnico” di Shapley. Di essere ammessa all’Accademia Nazionale delle Scienze non se ne parla nemmeno. Solo nel 1956 sono la prima donna a diventare professore ordinario e direttore di dipartimento ad Harvard. La scienziata Joan Feynman, sorella del premio Nobel Richard, si convincerà di poter perseguire una carriera in astrofisica dopo aver conosciuto il mio lavoro.

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 Pubblico la mia tesi in un libro, che viene ben accolto dagli astronomi. Il mio lavoro permette di interpretare correttamente il diagramma Hertzsprung-Russell, usato ancora oggi, che mette in relazione la luminosità delle stelle con la loro temperatura superficiale. Nel 1929 anche Russell si convince che ho ragione io e pubblica un articolo in cui cita il mio lavoro e riconosce che è corretto. Ma il mondo è quello che è e quasi tutti attribuiscono il merito della scoperta a lui.

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 Dopo il dottorato studio le stelle ad alta luminosità e le stelle variabili insieme a mio marito, il russo Sergej Gaposchkin. Faccio ricerca, insegno, pubblico libri, tengo conferenze e consiglio gli studenti. Il mio lavoro è la base per studi condotti in tutto il mondo.

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 Shapley invia la mia tesi a Russell, che gli risponde che il risultato è “chiaramente impossibile”. Ci deve essere un errore nella mia teoria. Per proteggere la mia carriera aggiungo alla mia tesi la precisazione che le quantità calcolate di idrogeno e elio sono «quasi certamente non reali».

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 Pubblico la mia tesi in un libro, che viene ben accolto dagli astronomi. Il mio lavoro permette di interpretare correttamente il diagramma Hertzsprung-Russell, usato ancora oggi, che mette in relazione la luminosità delle stelle con la loro temperatura superficiale. Nel 1929 anche Russell si convince che ho ragione io e pubblica un articolo in cui cita il mio lavoro e riconosce che è corretto. Ma il mondo è quello che è e quasi tutti attribuiscono il merito della scoperta a lui.

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 Gli astronomi credono che anche le quantità relative di questi elementi siano più o meno le stesse dappertutto. A Princeton uno dei più importanti astronomi del mondo, Henry Norris Russell, ha concluso che se la crosta terrestre fosse riscaldata alla temperatura del Sole le frequenze emesse sarebbero quasi le stesse.

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 Io però ho studiato la nuova scienza della fisica quantistica e la teoria della ionizzazione del fisico indiano Meghnad Saha e ho capito che quello che fa la differenza tra le radiazioni elettromagnetiche emesse dai vari corpi celesti non è la composizione chimica, ma i diversi stati di ionizzazione degli atomi e le diverse temperature superficiali. Calcolo le quantità relative di diciotto elementi e arrivo a due scoperte rivoluzionarie.

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 Quando sono arrivata a Harvard era in corso da tempo un imponente lavoro di classificazione delle stelle con la tecnica della spettroscopia, che permette di correlare la distribuzione delle frequenze di onde elettromagnetiche emesse dalle stelle con la loro composizione chimica. In questo modo si è scoperto che l’universo visibile è composto dagli stessi elementi chimici che si trovano sulla Terra.

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 Gli astronomi credono che anche le quantità relative di questi elementi siano più o meno le stesse dappertutto. A Princeton uno dei più importanti astronomi del mondo, Henry Norris Russell, ha concluso che se la crosta terrestre fosse riscaldata alla temperatura del Sole le frequenze emesse sarebbero quasi le stesse.

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 Nel 1925 sono la prima persona, uomo o donna, a pubblicare una tesi di dottorato in astronomia con l’osservatorio di Harvard. Otto Struve, maestro di due premi Nobel, la definirà «la più brillante tesi di dottorato mai scritta in astronomia».

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 Quando sono arrivata a Harvard era in corso da tempo un imponente lavoro di classificazione delle stelle con la tecnica della spettroscopia, che permette di correlare la distribuzione delle frequenze di onde elettromagnetiche emesse dalle stelle con la loro composizione chimica. In questo modo si è scoperto che l’universo visibile è composto dagli stessi elementi chimici che si trovano sulla Terra.

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 Seguo tutti i corsi di matematica e fisica aperti alle donne, ma Cambridge non ci permetterà di laurearci fino al 1948, dopo cinquant’anni di lotte, e comunque in Inghilterra non avrei nessuna possibilità di fare ricerca scientifica. Perciò nel 1923 mi trasferisco in America, dove il direttore dell’osservatorio astronomico di Harvard Harlow Shapley mi assegna una borsa di studio per lavorare con lui.

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 Nel 1925 sono la prima persona, uomo o donna, a pubblicare una tesi di dottorato in astronomia con l’osservatorio di Harvard. Otto Struve, maestro di due premi Nobel, la definirà «la più brillante tesi di dottorato mai scritta in astronomia».

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 Quando l'Osservatorio di Cambridge tiene una serata aperta al pubblico, faccio così tante domande allo staff che dopo un po' si stancano e chiamano "il professore". Eddington mi suggerisce una serie di libri per soddisfare la mia curiosità. Ma li ho già letti tutti. Allora mi invita a usare la biblioteca dell'Osservatorio, che ha tutte le riviste scientifiche di astronomia. Per me è come avere le chiavi del paradiso.

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 Seguo tutti i corsi di matematica e fisica aperti alle donne, ma Cambridge non ci permetterà di laurearci fino al 1948, dopo cinquant’anni di lotte, e comunque in Inghilterra non avrei nessuna possibilità di fare ricerca scientifica. Perciò nel 1923 mi trasferisco in America, dove il direttore dell’osservatorio astronomico di Harvard Harlow Shapley mi assegna una borsa di studio per lavorare con lui.

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 All'inizio non so ancora quale materia studiare e seguo vari corsi scientifici. Poi mi capita di assistere a una conferenza pubblica dell'astronomo Arthur Eddington. È come una rivelazione. Quando torno nella mia stanza, mi accorgo che posso ripetere la relazione parola per parola. Ho trovato la mia strada.

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 Quando l'Osservatorio di Cambridge tiene una serata aperta al pubblico, faccio così tante domande allo staff che dopo un po' si stancano e chiamano "il professore". Eddington mi suggerisce una serie di libri per soddisfare la mia curiosità. Ma li ho già letti tutti. Allora mi invita a usare la biblioteca dell'Osservatorio, che ha tutte le riviste scientifiche di astronomia. Per me è come avere le chiavi del paradiso.

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 Nasco nel 1900 in Inghilterra. Rimango orfana di padre a quattro anni. Nel 1912 ci trasferiamo a Londra per facilitare l’istruzione di mio fratello Humfry, che diventerà un importante archeologo. Mia mamma non ha i soldi per pagare l’università a entrambi e sceglie lui. Io però vinco l’unica borsa di studio abbastanza ingente da coprirmi tutte le spese e nel 1919 entro all'università di Cambridge.

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 All'inizio non so ancora quale materia studiare e seguo vari corsi scientifici. Poi mi capita di assistere a una conferenza pubblica dell'astronomo Arthur Eddington. È come una rivelazione. Quando torno nella mia stanza, mi accorgo che posso ripetere la relazione parola per parola. Ho trovato la mia strada.

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 Se oggi sappiamo di che cosa è fatto l'universo è anche merito mio, ma la mia carriera è stata costellata di ostacoli. Mi chiamo Cecilia Payne e questa è la mia storia.

(continua)

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 Nasco nel 1900 in Inghilterra. Rimango orfana di padre a quattro anni. Nel 1912 ci trasferiamo a Londra per facilitare l’istruzione di mio fratello Humfry, che diventerà un importante archeologo. Mia mamma non ha i soldi per pagare l’università a entrambi e sceglie lui. Io però vinco l’unica borsa di studio abbastanza ingente da coprirmi tutte le spese e nel 1919 entro all'università di Cambridge.

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 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke

ma sappiamo benissimo (e s... 
 @617958c9 La NASA ritiene che l'impatto ambientale del rientro in oceano sia minimo. Vedremo se questa valutazione sarà accettata. 
 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke ho un cuggino che ha un fur... 
 @fb0ca6f1 se lo riempie bene bene... 😂 
 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke

senza dubbio, vanno messe ... 
 @617958c9 La maggior parte della massa (e per i satelliti più piccoli la totalità) brucia durante il rientro, però sono d'accordo, è una scelta non più in linea con i tempi. 
 nostr:npub1y8sdlq8nr7qxh724r9860ux5aszpxtc4f2hn9llvlxf498pvzx2q3sjdke

Tempo fa lessi (non ricord... 
 @617958c9 è possibile, ma non credo che valga la pena di mantenere tutti i moduli 
 Anche se la NASA si aspetta un piccolo impatto sull’ecosistema marino dato che la maggior parte della ISS brucerà durante il rientro, alcuni oceanografi non sono d’accordo e hanno sollevato preoccupazioni per i possibili danni provocati dall’erosione dei metalli e dalle perdite di idrazina e altri propellenti tossici.

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 Contro lo scarico dei resti della ISS nell’oceano potrebbero essere impugnati il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, che proibisce di arrecare danno all’ambiente terrestre, o la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che richiede di preservare l’ambiente marino. Staremo a vedere, ma quel che è certo è che per il futuro bisognerà trovare dei modi più sostenibili di smaltire le stazioni spaziali dismesse.

(fine)

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 L’unica possibilità rimasta è quella del rimorchiatore spaziale. Se volete candidarvi c’è tempo fino al 17 novembre, ma sappiate che potreste trovarvi al centro di una controversia internazionale. 
 Anche se la NASA si aspetta un piccolo impatto sull’ecosistema marino dato che la maggior parte della ISS brucerà durante il rientro, alcuni oceanografi non sono d’accordo e hanno sollevato preoccupazioni per i possibili danni provocati dall’erosione dei metalli e dalle perdite di idrazina e altri propellenti tossici.

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 Avete esperienza di grandi traslochi? Potreste candidarvi per riportare a terra la Stazione Spaziale Internazionale fra qualche anno.

(continua)

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 Purtroppo la ISS terminerà la sua vita operativa nel 2030 e la NASA ha chiesto all’industria americana di formulare proposte per un “rimorchiatore spaziale” che trascini il segmento americano della stazione fino al rientro in atmosfera, dirigendola verso zone non popolate dell’oceano. Il veicolo russo Progress, che periodicamente corregge l’orbita della ISS, non sarebbe sufficiente per questo scopo.

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 Una delle caratteristiche di COSMO-SkyMed è l’uso di un radar ad apertura sintetica, che permette di ottenere immagini molto buone rispetto alle dimensioni dell’antenna e di farlo anche di notte e con qualsiasi condizione atmosferica.

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 Oggi sono in orbita più di 1000 satelliti di osservazione terrestre, che forniscono dati sulla terra, il ghiaccio, gli oceani e l’atmosfera. Ma nei prossimi anni il numero di satelliti di questo tipo non potrà che aumentare ancora, per conoscere sempre meglio il nostro pianeta.

(fine)

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 Ma diverse decine di nazioni hanno sviluppato propri satelliti di osservazione terrestre. Tra queste c’è anche l’Italia. Tra il 2007 e il 2010 sono stati lanciati i primi quattro satelliti del programma COSMO-SkyMed, che ha una doppia funzione, civile e militare. Tra il 2019 e il 2022 sono stati lanciati i primi due satelliti della seconda generazione e gli altri due seguiranno nei prossimi anni.

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 Una delle caratteristiche di COSMO-SkyMed è l’uso di un radar ad apertura sintetica, che permette di ottenere immagini molto buone rispetto alle dimensioni dell’antenna e di farlo anche di notte e con qualsiasi condizione atmosferica.

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 Il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea è invece Copernicus, che raccoglie dati da più fonti: non solo satelliti di osservazione della Terra ma anche stazioni di terra e sensori collocati in aria e negli oceani. Il segmento spaziale del programma Copernicus è costituito dai satelliti Sentinel: si tratta di sette missioni, composte da due satelliti ciascuna. Per esempio, Sentinel-2 monitora le aree verdi del pianeta e fornisce supporto nella gestione di disastri naturali.

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 Ma diverse decine di nazioni hanno sviluppato propri satelliti di osservazione terrestre. Tra queste c’è anche l’Italia. Tra il 2007 e il 2010 sono stati lanciati i primi quattro satelliti del programma COSMO-SkyMed, che ha una doppia funzione, civile e militare. Tra il 2019 e il 2022 sono stati lanciati i primi due satelliti della seconda generazione e gli altri due seguiranno nei prossimi anni.

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 Il più importante programma americano di osservazione terrestre si chiama Landsat, nato negli anni Settanta e caratterizzato dall’uso di sensori multispettrali, cioè capaci di operare in diverse lunghezze d’onda. Oggi sono operativi Landsat 7 (ancora funzionante dopo più di 24 anni dal lancio e candidato a essere rifornito di propellente da una missione robotica, anche se non era stato progettato per questo), Landsat 8 e Landsat 9.

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 Il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea è invece Copernicus, che raccoglie dati da più fonti: non solo satelliti di osservazione della Terra ma anche stazioni di terra e sensori collocati in aria e negli oceani. Il segmento spaziale del programma Copernicus è costituito dai satelliti Sentinel: si tratta di sette missioni, composte da due satelliti ciascuna. Per esempio, Sentinel-2 monitora le aree verdi del pianeta e fornisce supporto nella gestione di disastri naturali.

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 Ma da questa distanza è difficile vedere i dettagli: quando serve un’alta risoluzione, per esempio per identificare gli edifici danneggiati da un terremoto, si usa una quota bassa (dell’ordine di 600 km di quota) e un’orbita polare o quasi. In questo modo il satellite riesce a vedere in ogni dato momento solo una piccola parte della superficie terrestre, ma mentre orbita intorno alla Terra il nostro pianeta ruota sotto di lui e quindi un po’ alla volta ha la possibilità di osservarlo tutto.

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 Il più importante programma americano di osservazione terrestre si chiama Landsat, nato negli anni Settanta e caratterizzato dall’uso di sensori multispettrali, cioè capaci di operare in diverse lunghezze d’onda. Oggi sono operativi Landsat 7 (ancora funzionante dopo più di 24 anni dal lancio e candidato a essere rifornito di propellente da una missione robotica, anche se non era stato progettato per questo), Landsat 8 e Landsat 9.

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 Oltre a diversi tipi di sensori, ci sono diversi tipi di satelliti. Quando bisogna osservare i movimenti delle nuvole su un continente, come fanno i satelliti meteorologici, conviene stare molto in alto: questi satelliti si trovano in orbita geostazionaria, cioè fissi sopra un punto della superficie terrestre a 36.000 km di quota, e ognuno di essi riesce a vedere un terzo della superficie terrestre, perciò con tre satelliti è possibile osservare tutto il globo.

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 Ma da questa distanza è difficile vedere i dettagli: quando serve un’alta risoluzione, per esempio per identificare gli edifici danneggiati da un terremoto, si usa una quota bassa (dell’ordine di 600 km di quota) e un’orbita polare o quasi. In questo modo il satellite riesce a vedere in ogni dato momento solo una piccola parte della superficie terrestre, ma mentre orbita intorno alla Terra il nostro pianeta ruota sotto di lui e quindi un po’ alla volta ha la possibilità di osservarlo tutto.

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 Inoltre i sensori variano per quanto riguarda  la dimensione minima degli oggetti distinguibili sulla superficie terrestre (risoluzione spaziale), la regione dello spettro elettromagnetico rilevata (estensione spettrale), il numero di livelli digitali utilizzati per esprimere i dati raccolti (risoluzione radiometrica) e l’intervallo di tempo tra acquisizioni consecutive (risoluzione temporale).

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 Oltre a diversi tipi di sensori, ci sono diversi tipi di satelliti. Quando bisogna osservare i movimenti delle nuvole su un continente, come fanno i satelliti meteorologici, conviene stare molto in alto: questi satelliti si trovano in orbita geostazionaria, cioè fissi sopra un punto della superficie terrestre a 36.000 km di quota, e ognuno di essi riesce a vedere un terzo della superficie terrestre, perciò con tre satelliti è possibile osservare tutto il globo.

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 Ci sono diversi tipi di sensori, che operano nel visibile e del vicino infrarosso, oppure a frequenze più basse, nelle microonde.

I sensori tradizionali sono di tipo passivo, cioè misurano l’energia solare riflessa dalla superficie terrestre o dall’atmosfera oppure l’energia termica emessa dal nostro pianeta. Ma esistono anche sensori attivi, come i radar o i lidar, che emettono energia verso il nostro pianeta e misurano l’energia riflessa o diffusa, ricavando in questo modo informazioni.

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 Inoltre i sensori variano per quanto riguarda  la dimensione minima degli oggetti distinguibili sulla superficie terrestre (risoluzione spaziale), la regione dello spettro elettromagnetico rilevata (estensione spettrale), il numero di livelli digitali utilizzati per esprimere i dati raccolti (risoluzione radiometrica) e l’intervallo di tempo tra acquisizioni consecutive (risoluzione temporale).

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 Dal lancio dei primi satelliti meteorologici nel 1960 a oggi lo studio della Terra dallo spazio ha fatto passi da gigante. Le cose che riescono a fare i satelliti più recenti si vedevano fino a qualche anno fa solo nella fantascienza. Queste osservazioni vanno sotto il nome di “telerilevamento” perché avvengono a distanza mediante misure di radiazione elettromagnetica.

(continua)

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 Ci sono diversi tipi di sensori, che operano nel visibile e del vicino infrarosso, oppure a frequenze più basse, nelle microonde.

I sensori tradizionali sono di tipo passivo, cioè misurano l’energia solare riflessa dalla superficie terrestre o dall’atmosfera oppure l’energia termica emessa dal nostro pianeta. Ma esistono anche sensori attivi, come i radar o i lidar, che emettono energia verso il nostro pianeta e misurano l’energia riflessa o diffusa, ricavando in questo modo informazioni.

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 È il 14 febbraio 1990. La sonda Voyager 1 scatta una fotografia che non era prevista dal programma della missione. Una fotografia a prima vista poco appariscente, ma destinata a entrare nella storia.

(continua)

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 Shapley invia la mia tesi a Russell, che gli risponde che il risultato è “chiaramente impossibile”. Ci deve essere un errore nella mia teoria. Per proteggere la mia carriera aggiungo alla mia tesi la precisazione che le quantità calcolate di idrogeno e elio sono «quasi certamente non reali».

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 L’unica possibilità rimasta è quella del rimorchiatore spaziale. Se volete candidarvi c’è tempo fino al 17 novembre, ma sappiate che potreste trovarvi al centro di una controversia internazionale. 
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 Grazie a Stefano Maurizio per la revisione 🙂 
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 La richiesta si riferisce solo alla parte americana della ISS, ma saranno necessarie iniziative analoghe per le altre sezioni, che subiranno la stessa sorte, anche se è possibile che qualche modulo rimanga in orbita e venga aggregato a una delle future stazioni spaziali private attualmente in fase di sviluppo.

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