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 Ci sono diversi tipi di sensori, che operano nel visibile e del vicino infrarosso, oppure a frequenze più basse, nelle microonde.

I sensori tradizionali sono di tipo passivo, cioè misurano l’energia solare riflessa dalla superficie terrestre o dall’atmosfera oppure l’energia termica emessa dal nostro pianeta. Ma esistono anche sensori attivi, come i radar o i lidar, che emettono energia verso il nostro pianeta e misurano l’energia riflessa o diffusa, ricavando in questo modo informazioni.

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 Inoltre i sensori variano per quanto riguarda  la dimensione minima degli oggetti distinguibili sulla superficie terrestre (risoluzione spaziale), la regione dello spettro elettromagnetico rilevata (estensione spettrale), il numero di livelli digitali utilizzati per esprimere i dati raccolti (risoluzione radiometrica) e l’intervallo di tempo tra acquisizioni consecutive (risoluzione temporale).

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 Oltre a diversi tipi di sensori, ci sono diversi tipi di satelliti. Quando bisogna osservare i movimenti delle nuvole su un continente, come fanno i satelliti meteorologici, conviene stare molto in alto: questi satelliti si trovano in orbita geostazionaria, cioè fissi sopra un punto della superficie terrestre a 36.000 km di quota, e ognuno di essi riesce a vedere un terzo della superficie terrestre, perciò con tre satelliti è possibile osservare tutto il globo.

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 Ma da questa distanza è difficile vedere i dettagli: quando serve un’alta risoluzione, per esempio per identificare gli edifici danneggiati da un terremoto, si usa una quota bassa (dell’ordine di 600 km di quota) e un’orbita polare o quasi. In questo modo il satellite riesce a vedere in ogni dato momento solo una piccola parte della superficie terrestre, ma mentre orbita intorno alla Terra il nostro pianeta ruota sotto di lui e quindi un po’ alla volta ha la possibilità di osservarlo tutto.

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 Il più importante programma americano di osservazione terrestre si chiama Landsat, nato negli anni Settanta e caratterizzato dall’uso di sensori multispettrali, cioè capaci di operare in diverse lunghezze d’onda. Oggi sono operativi Landsat 7 (ancora funzionante dopo più di 24 anni dal lancio e candidato a essere rifornito di propellente da una missione robotica, anche se non era stato progettato per questo), Landsat 8 e Landsat 9.

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 Il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea è invece Copernicus, che raccoglie dati da più fonti: non solo satelliti di osservazione della Terra ma anche stazioni di terra e sensori collocati in aria e negli oceani. Il segmento spaziale del programma Copernicus è costituito dai satelliti Sentinel: si tratta di sette missioni, composte da due satelliti ciascuna. Per esempio, Sentinel-2 monitora le aree verdi del pianeta e fornisce supporto nella gestione di disastri naturali.

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 Ma diverse decine di nazioni hanno sviluppato propri satelliti di osservazione terrestre. Tra queste c’è anche l’Italia. Tra il 2007 e il 2010 sono stati lanciati i primi quattro satelliti del programma COSMO-SkyMed, che ha una doppia funzione, civile e militare. Tra il 2019 e il 2022 sono stati lanciati i primi due satelliti della seconda generazione e gli altri due seguiranno nei prossimi anni.

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 Una delle caratteristiche di COSMO-SkyMed è l’uso di un radar ad apertura sintetica, che permette di ottenere immagini molto buone rispetto alle dimensioni dell’antenna e di farlo anche di notte e con qualsiasi condizione atmosferica.

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 Oggi sono in orbita più di 1000 satelliti di osservazione terrestre, che forniscono dati sulla terra, il ghiaccio, gli oceani e l’atmosfera. Ma nei prossimi anni il numero di satelliti di questo tipo non potrà che aumentare ancora, per conoscere sempre meglio il nostro pianeta.

(fine)

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