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 Seguo tutti i corsi di matematica e fisica aperti alle donne, ma Cambridge non ci permetterà di laurearci fino al 1948, dopo cinquant’anni di lotte, e comunque in Inghilterra non avrei nessuna possibilità di fare ricerca scientifica. Perciò nel 1923 mi trasferisco in America, dove il direttore dell’osservatorio astronomico di Harvard Harlow Shapley mi assegna una borsa di studio per lavorare con lui.

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 Nel 1925 sono la prima persona, uomo o donna, a pubblicare una tesi di dottorato in astronomia con l’osservatorio di Harvard. Otto Struve, maestro di due premi Nobel, la definirà «la più brillante tesi di dottorato mai scritta in astronomia».

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 Quando sono arrivata a Harvard era in corso da tempo un imponente lavoro di classificazione delle stelle con la tecnica della spettroscopia, che permette di correlare la distribuzione delle frequenze di onde elettromagnetiche emesse dalle stelle con la loro composizione chimica. In questo modo si è scoperto che l’universo visibile è composto dagli stessi elementi chimici che si trovano sulla Terra.

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 Gli astronomi credono che anche le quantità relative di questi elementi siano più o meno le stesse dappertutto. A Princeton uno dei più importanti astronomi del mondo, Henry Norris Russell, ha concluso che se la crosta terrestre fosse riscaldata alla temperatura del Sole le frequenze emesse sarebbero quasi le stesse.

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 Io però ho studiato la nuova scienza della fisica quantistica e la teoria della ionizzazione del fisico indiano Meghnad Saha e ho capito che quello che fa la differenza tra le radiazioni elettromagnetiche emesse dai vari corpi celesti non è la composizione chimica, ma i diversi stati di ionizzazione degli atomi e le diverse temperature superficiali. Calcolo le quantità relative di diciotto elementi e arrivo a due scoperte rivoluzionarie.

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