Ieri, 4 ottobre, c’è stata una replica del Barone rampante alla Casa Circondariale di Monza.
Questa per me è stata un’esperienza inaspettata, di solito le repliche del Barone scorrono da molti anni, sempre belle, ma con un po’ di routine che le accompagna.
Ma ieri non avevo minimamente realizzato che avrei suonato davanti a un gruppo di detenuti della Casa, che si erano prenotati per assistere allo spettacolo (tenuto là perché dentro la Casa Circondariale è attiva una biblioteca – riservata, ma in realtà una delle biblioteche del sistema monzese), una sessantina, insieme a una ventina di ‘liberi’, come vengono chiamati coloro che non sono in carcere.
Per entrare con l’auto una certa trafila, prevista in realtà: controlli, lasciar giù i documenti, il cellulare, il tablet (nessuna possibilità di fare foto quindi), controllo del baule dell’auto. Un cancello, due portoni, e all’improvviso sei in un luogo circondato da mura altissime, con dentro padiglioni più o meno alti dotati di inferriate e porte chiuse.
Ecco, ieri ho sperimentato, anche se solo al volo, il senso dell’estromissione, dell’essere relegato in un luogo da dove non si può uscire.
E poi le persone che ho visto: tanti giovani, diverse etnie, che ho immaginato bloccati lì, in attesa, fermi.
Il Barone è uno spettacolo diesel, ingrana lento, ma poi alla fine tende l’attenzione fino al momento finale, quando concludo con una musica facile, il Tourdion che canto rapido, quasi vergognandomi di fare ancora una musica così trita: poi abbiamo ricevuto una valanga di applausi, e poi sono venuti a congratularsi, a conoscerci, mi hanno chiesto se questo è il mio mestiere, mi hanno confessato che li ho colpiti con la mia voce (canto un pezzo difficile a metà spettacolo, Voglio di vita uscir di Benedetto Ferrari, ce l’ho messa tutta); eravamo in realtà tutti un po’ emozionati: nella storia Chiara Magri si dilunga molto sulla figura di Gian dei Brughi, brigante che viene poi imprigionato e impiccato. C’eravamo chiesti che reazione ci sarebbe stata: in realtà non sappiamo cosa abbiamo lasciato, ma le persone presenti ci hanno ringraziato ed erano contente di essere venute.
Sono contento che il mio lavoro mi porti a questi confronti, anche se squadernano mie convinzioni o mi pongono domande a risposte mai date: è giusto incarcerare a lungo una persona? È la maniera migliore per permetterle di riparare il danno fatto?
Come sempre dico, ho sempre occasione di imparare, ci penserò su.
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Notes by Matteo Zenatti | export